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Sono le 18.20 di un venerdì di novembre di tanti anni fa. Franca Borin ha 26 anni. È  una ragazza vivace, piena di passioni. Balla, canta, suona la chitarra, dirige il coro  dei bambini in chiesa. Lavora molto: bar, uffici, persino un’agenzia di investigazioni. È in auto, sta andando dalla suocera a prendere i due figli piccoli. È felice: farà la parte da solista in uno spettacolo e l’aspettano per le prove. Mette la freccia, svolta. E la sua vita cambia per sempre.

Si risveglia con il corpo aggrovigliato nella sua utilitaria accartocciata, le gambe intrecciate al volante. Capisce che non camminerà più guardando negli occhi il radiologo dopo la Tac, in ospedale. Ci resta quasi un anno, ma non smette mai di pensare ai figli. Ogni giorno firma per uscire, va a casa ad accudirli poi rientra. 

L’incidente segna la prima di numerose rinascite. La prima volta rinasce grazie alla sua famiglia. Da piccola voleva aprire una casa d’accoglienza per bambini bisognosi. Il senso di accudimento è qualcosa di fortemente radicato in lei. Poi rinasce con il lavoro online, che l’aiuta a trasformare i suoi talloni d’Achille in talloni da killer, dice con la sua risata inimitabile.

Non sopporta che le donne vengano ancora considerate meno degli uomini, così ne coinvolge tante, con entusiasmo, nel suo progetto, convinta che l’indipendenza economica sia il passaporto della libertà femminile. Franca è ossessionata dall’idea di libertà. Vuole sempre poter scegliere. Come quando, dopo l’incidente, le dicono che non può più avere figli. Ne avrà altri due. Perché sogna fin da piccola una famiglia numerosa e per lei ogni no può diventare un sì. Basta volerlo. Arriva Riccardo: partorisce in ipnosi, il parto più bello, dice Franca. Poi Nicola, che nasce prematuro. 

Vorrebbe altri figli ma arriva la separazione, difficile, dal marito. Rinasce di nuovo. Questa volta con 500 euro nel portafoglio e quattro bocche da sfamare. Con la prima mensilità dà la caparra per una casa nuova. Comincia a fare due o tre lavori, ma i genitori si ammalano. Sceglie di assisterli fino all’ultimo momento. Mamma se ne va quasi subito. Poi papà. Franca resiste per un po’, poi si abbandona alla depressione. È sua figlia a risvegliarla ricordandole il suo mantra, tatuato sul braccio: Lotterai, l’otterrai, lo terrai. Ecco, una nuova rinascita. 

È una donna che sfugge alle etichette. Impossibile definirla disabile. È vulcanica e romantica. Determinata e sognatrice. Simpaticissima, ma guai a farla arrabbiare. Ha la grinta di un capo famiglia e le sembianze, soffici e accoglienti, di una nonna dolcissima. E un corpo super femminile. Ci tiene tantissimo, alla sua femminilità. E si arrabbia se qualcuno mette in dubbio la possibilità di esserlo su una sedia a rotelle.  

E poi ha muscoli d’acciaio. Perché nella vita di Franca c’è posto anche per lo sport. Basket in carrozzina. È stata nella nazionale femminile di pallacanestro. Capocannoniera nell’anno in cui l’Italia vince la prima partita in un campionato europeo.

Oggi ha quattro nipotini. Due in Terra e due in cielo. L’ultimo nato, Samuele, ha cominciato la sua corsa in salita, per una brutta infezione. Ma ce l’ha fatta. Del resto, con una nonna così.