Tempo di lettura: 3 minuti

Abbiamo imparato a conoscerla, la luce blu. Si chiama HEV, High-Energy Visible. La colleghiamo subito a computer, tablet, smartphone. Ne siamo costantemente esposti, oggi più che mai, da quando la nostra quotidianità è costantemente mediata da schermi. Non a caso viene chiamata il male del 21esimo secolo. Pensate che ciascuno di noi possiede circa quattro device a testa e mediamente trascorriamo sei ore al giorno davanti a display con luci Led, per un tempo complessivo di circa tre mesi consecutivi all’anno. 

«Ma pochi sanno che ne siamo più esposti esponendoci al sole – precisa la dottoressa Francesca Farnetani, specialista in dermatologia e venereologia – La luce blu è la prima parte della luce visibile, ma è anche la meno studiata. C’è poca consapevolezza dei rischi legati all’esposizione solare. Viene associata giustamente ai device elettronici, ma ne assorbiamo di più stando al sole. Non solo in spiaggia. Anche in città.

Se i raggi ultravioletti (Uvb e Uva) hanno una correlazione diretta con il fotoinvecchiamento e, ahimé, anche con la comparsa di tumori cutanei (in cui conta però molto anche la predisposizione genetica), la luce blu crea un danno indiretto al Dna cellulare accelerando ulteriormente i processi di invecchiamento. Gli effetti li conosciamo: avvizzimento, rughe, perdita di tono ed elasticità. Anche le macchie solari sono causate in parte dalla luce blu, insieme ai raggi Uv.  

La melanina ci protegge, è vero, ma in minima quantità – prosegue l’esperta – Per questo i nuovi solari hanno inserito nelle formule filtri ad ampio spettro che assicurano la migliore efficacia protettiva possibile, agendo nei confronti delle varie componenti della luce solare: raggi Uv, luce visibile e luce blu».  

Resta il problema della praticità. «Si dice che il miglior solare è quello che si riesce ad applicare – continua la dottoressa – ma in questo senso le generazioni precedenti avevano grandi limiti. Usavano filtri efficaci, ma risultavano densi e appiccicosi alla stesura. Oppure proponevano formulazioni extra fluide, leggere e invisibili, ma con scarse capacità difensive. Le nuove tecnologie sono riuscite a coniugare queste due esigenze di mercato: l’efficacia e la gradevolezza cosmetica, requisito imprescindibile affinché la crema solare non precipiti in fondo alla borsa da spiaggia e lì resti fino alla fine dell’estate». 

Sondaggi condotti nel 2020 hanno rivelato che l’87% dei consumatori non risparmia sull’efficacia protettiva di un solare, che resta il criterio di scelta più importante. Il 76% controlla anche che sia water resistant. Il 59% che non contenga attivi pericolosi, quattro su 10 che rispetti l’ambiente (indagine di mercato Eye Square 2020). Ma tantissimi, ben otto su 10, desiderano anche un prodotto piacevole, come una texture idratante, durevole, ad assorbimento rapido. Il 60% cerca un finish invisibile, che non lascia tracce (indagine di mercato Brand Value 2020).

«Scegliete la formula che più vi piace, controllando però che il prodotto contenga un complesso filtrante a largo spettro – consiglia la specialista – che sia fotostabile (cioè non alteri nel tempo le sue capacità protettive) e resistente ad acqua e sudore (anche se bisogna comunque riapplicarlo ogni due ore e dopo ogni bagno, immersione o sport). Meglio se testato in condizioni estreme (deserto, Tropici, elevate altitudini, sport nautici) e arricchito di antiossidanti, che trasformano la protezione in un gesto antiage.

Ricordiamo che il filtro solare, per definizione, deve restare in superficie, per proteggere la pelle a lungo, quindi non deve penetrare – chiarisce la dottoressa Farnetani – ma ciononostante i nuovi formulati si indossano con discrezione: non lasciano tracce. Meravigliose le nuove texture ibride che si presentano come morbidi latti ma diventano fluidi leggeri appena toccano la pelle. Hanno colorazioni nude e un finish trasparente anche su pelle già scura».